Varcato il portone sono stato inondato dal forte chiarore del sole. La luce mi ha investito insieme al calore e al frastuono del traffico. Con la testa china nei pensieri, istintivamente, ho portato il palmo della mano a coprire gli occhi. Ancora dovevo riabituarmi alla luce. Troppe giornate avevo passato chiuso in casa, in pigiama, senza radermi e arrabbiato con il mondo.
In fondo al marciapiede, ho visto una figura in movimento. Camminava rigida con un movimento preciso e automatico, con un leggero sorriso dipinto sul viso. Veniva nella mia direzione e, man mano che si avvicinava, notavo che aveva i capelli corti e tinti, e la faccia lisciata da un costante uso di creme che aveva attenuato le rughe dovute all'età. Un lavoro di precisione di trucco la faceva sembrare più giovane di almeno dieci anni.
Ci siamo incrociati a breve distanza, quasi toccandoci, poi è passata oltre senza degnarmi di uno sguardo.
Alle mie spalle, sentivo ancora i suoi tacchi battere sulle mattonelle quando è arrivato il suono di una notifica dal mio cellulare.
Sono rimasto interdetto per qualche secondo, indeciso sul da farsi. Ho pensato: “Oh, mio Dio, fa che non sia ciò che penso.”
Per un po' sono rimasto intrappolato nell'insicurezza più profonda, poi, d'impulso, ho accantonato i ragionamenti e ho tirato fuori dalla tasca il vecchio telefono consumato dall'uso.
Prima di guardare lo schermo, ho avvertito una punta d'inquietudine, un vago timore, dopo, sconvolto e sconsolato, ho urlato: «No! Per favore no. Questo proprio no. Un'altra quarantena no. Cazzo no, NOOOO!»
Liberamente ispirato da “Il supplente di matematica” di G. D'Angelo edito da Bertoni Editore