Ho alzato in alto il giornale e, indicando un titolo a caratteri cubitali, ho urlato: «Papa Francesco dice messa per cinquecento parlamentari e alza la voce contro la corruzione.» E, cercando di sovrastare il chiasso incombente, ho aggiunto: «Vi piace questo titolo? Anche il Papa, pur argentino e da poco qui, pare che si sia reso conto di come funzionano le cose in Italia. Infatti, nell'omelia della messa, tenuta in San Pietro per i parlamentari, ha fatto riferimento alla corruzione, agli intrecci, agli interessi e alle protezioni. Le parole del Papa potrebbero sembrare dette al vento, eppure, durante la messa, come pietre, hanno scalfito il cuore, pur inaridito, di un politico, che folgorato, inaspettatamente, si è pentito e ha chiesto perdono davanti al crocifisso.»
Gesù, mi pento e mi dispiaccio con tutto il cuore delle mie malefatte, perché così ho meritato i tuoi castighi. Mi riprometto con il tuo santo aiuto di non usare mai più i soldi dei contribuenti per fare viaggi, pranzi e cene a base di ostriche, aragoste e champagne, di non prendere mai più mazzette a spese dei malati, pensionati e disabili, di accontentarmi del mio misero stipendio, delle indennità, dei privilegi e quindi di non usare mai più i soldi pubblici per acquistare cartucce per la caccia e il pranzo di nozze di mia figlia. Inoltre mi riprometto di non accettare appartamenti, vacanze, lauree e ristrutturazioni pagate a mia insaputa e di non appropriarmi mai più dei finanziamenti elettorali per comprare la caldaia della casa al mare. M'impegno a non raccontare bugie o falsità come quel giorno che votai Ruby nipote di Mubarak e mi propongo di fuggire le occasioni prossime di peccato, anche se, come sai, l'occasione fa l'uomo ladro. Gesù, misericordia, perdonami.
Gesù dopo aver ascoltato la preghiera, miracolosamente parlò: «Figlio mio, non hai bisogno di chiedere perdono. Devi solamente ringraziare.»
Il politico, sbigottito dal miracolo, con grande sorpresa si guardò intorno: «Ringraziare? E chi, Signore?»
«Gli antichi Romani, per avermi inchiodato qui sulla croce. Altrimenti sarei sceso e solo Dio sa cosa ti avrei fatto.»
Ferdinando, il più divertito di tutti, nuovamente ha colto l'occasione per buttarla in caciara e uscendo dal banco si è piazzato al centro dell'aula e, mimando con le mani, ha gridato: «Gli avrebbe fatto un CULO COSÍ.»
L'ho guardato male e allora si è giustificato: «A professò, quando ce vo ce vo.» Poi, accentuando intenzionalmente il suo zoppicare, ridendo, ha aggiunto: «Mo' me ne posso tornà, diritto diritto, al posto mio.»
Aveva pronunciato le parole “diritto diritto” ondeggiando in modo esagerato, trascinando la gamba come uno storpio, e così ha fatto scoppiare altre fragorose risate in aula. Vedendolo zoppicare così buffamente mi sono dovuto mordere le labbra per non ridere anch'io.
G. D'Angelo