Come altre volte, quella notte avevo dormito poco. Mi ero svegliato quando fuori era ancora buio pesto ed ero rimasto sul letto, sotto le coperte, senza riuscire più ad addormentarmi. Più mi sforzavo per prendere sonno e più mi innervosivo, e così mi sono alzato e, con addosso una coperta multicolore a mo' di scialle, la schiena indolenzita, le gambe rigide e il naso chiuso, mi sono rasato.
Il freddo si faceva sentire e sembrava più pungente del solito nonostante che Roma non sia una città fredda. A Roma la colonnina di mercurio scende sotto lo zero raramente, solo nel primo mattino di poche giornate invernali eppure, anche se la temperatura era sopra lo zero, per me, possedere la casa calda era diventato un desiderio, un regalo difficile da ottenere. La ricerca spasmodica del risparmio mi obbligava a ridurre i consumi e quindi il riscaldamento, a casa, lo utilizzavo poco.
Poiché era presto, dopo aver fatto colazione, sono uscito di casa e mi sono diretto a scuola a piedi, lungo la strada ancora semideserta. Poteva sembrare una strana decisione ma da un po' di tempo, da quando le mie giornate si erano allungate ed erano diventate difficili da passare, mi capitava spesso di non utilizzare più l'automobile. Senza il fastidio della calura del sole, ancora basso, ho respirato a pieni polmoni una boccata d'aria fresca, carica di profumi e di nuova vita, tipica di quelle mattine primaverili. Da ragazzo quell'odore di mimosa lo inspiravo a occhi chiusi e mi faceva pensare all'imminente arrivo dell'estate e ai sorrisi delle ragazze. Poi, dopo aver iniziato a lavorare, preso da altre cose che ritenevo più importanti, avevo smesso di assaporare la vita e i suoi profumi.
Sul marciapiede, un uomo anziano, stava frugando in un cassonetto. Con occhi attenti e scuri scrutava all'interno e con un lieve tremolio della mano, con un bastone, smuoveva la spazzatura cercando qualche oggetto ancora utilizzabile o peggio dei rifiuti alimentari. Stranamente, di scene come quella degli indigenti che bivaccano in piazza o che frugano nei cassonetti, non avevo alcun ricordo giovanile. Non capivo se nel frattempo era cambiata l'Italia oppure ero io che notavo delle cose che prima mi sfuggivano. Di una cosa ero certo: da quando i problemi avevano preso il sopravvento, per mille e una ragione, vedevo difetti ovunque e tutto nero. Il mondo mi si era chiuso, ero diventato diffidente, scontroso e così tirchio da far sembrare superflue anche le spese necessarie. Ero diventato esageratamente pessimista, talmente pessimista che a confronto Leopardi era un comico. Non riuscivo più a vedere il futuro in maniera positiva e nella testa mi frullavano solo pensieri negativi. Ad esempio, se nella pineta scorgevo delle persone che raccoglievano dei rami secchi, la prima cosa che mi veniva in mente era che il riscaldamento a metano era troppo tassato. Mi persuadevo che stavano, lì, alla ricerca di legna da ardere per la stufa, usata perché più conveniente del riscaldamento a metano.
Anche quella strada, che da sempre percorrevo, ora mi sembrava diversa. Un tempo era famosa e affollata, un luogo cult dello shopping. Oggi invece era scandita da una sequenza ininterrotta di negozi chiusi e di sera diventava buia come l'asfalto, talmente desolata che non s'incontrava più anima viva.
Non potevo fare a meno di pensare alla crisi dilagante in Italia. L'immaginavo come una malattia contagiosa che si stava diffondendo a macchia d'olio e toglieva la fiducia, la dignità e la speranza di un futuro migliore. Inizialmente ero relativamente tranquillo, la crisi sembrava lontana, lontana dal mio vivere quotidiano. Preso dai problemi di ogni giorno non davo peso alla televisione, al numero dei disoccupati che cresceva e invece, poi, un giorno, ho provato la bruttissima sensazione di farne parte. Ancora lavoravo e già la preoccupazione di poter essere licenziato dall'oggi al domani si era fatta strada prepotentemente in me, un timore legittimato dalla crescita bloccata, dai consumi calanti, dall'impossibilità di ottenere prestiti e dalla situazione economica in generale che costringeva molte aziende a chiudere, lasciandosi alle spalle solo debiti da pagare.
Spesso mi capitava di pensare al capitalismo che aveva gettato la maschera e stava mostrando la sua faccia più crudele. Così i tempi di crisi stavano diventando i tempi di grandi occasioni, da cogliere al volo. Esplodevano le disuguaglianze fra coloro che erano colpiti dalla crisi e i profittatori che diventavano sempre più ricchi acquistando importanti proprietà (appartamenti prestigiosi in quartieri centrali) a prezzi stracciati, da chi, in difficoltà, era costretto a vendere.
Una fetta di popolazione faceva fatica mentre l'altra, sempre più distante, continuava a fare sfoggio di privilegi. E intanto il governo, sfrontatamente inefficiente, cercava di creare lavoro solo a parole, senza riuscire a combattere la piaga dell'evasione fiscale, gli sprechi e la corruzione. Stava lì, all'interno dei palazzi del potere, come un fantoccio che tirava a campare. Per fare cassa si limitava a svendere società, infrastrutture, partecipazioni, e immobili dello stato. Applicava servilmente le politiche di austerità imposte dall'Unione Europea con il solo scopo di allungare l'agonia di un paese malato che, foglia dopo foglia, come un carciofo, veniva spogliato di ogni proprietà, senza compassione, finché, un giorno, non ci sarebbe rimasto più nulla.
Il sole, nel frattempo, era diventato più caldo e mi ha imperlato la fronte con delle piccole gocce di sudore, solo in parte asciugate da delle sporadiche folate di brezza.
Spossato, sconfortato, amareggiato, turbato e depresso dai pensieri che si erano rincorsi, senza sosta, nella mia testa, sono infine arrivato a scuola.
G. D'Angelo